GLI SCARPONI DEL DUCE

 

 

 

Riprendendo il discorso iniziato con” i bottoni di Napoleone”, vorrei approfondire con gli “scarponi del Duce”. Mi è ritornato alla mente il racconto dell’usciere dell’Istituto dove stavo svolgendo il mio internato per la tesi di laurea. Egli, reduce della campagna di Russia della 2° guerra mondiale, era ritornato a casa senza le dita di entrambi i piedi, amputati perché irrimediabilmente congelati. Mi raccontò del giorno che, entrato in un’isba per cercare di ripararsi da temperature esterne di – 38°C, si tolse uno scarpone perché all’interno di esso sentiva un sasso che gli provocava fastidio. Raccontò: << Allorché sgrullai lo scarpone per far uscire il sasso, anziché esso cadde per terra il “ditone” del mio piede >>. Si era staccato per congelamento senza che  il proprietario avvertisse alcun dolore perché il piede era completamente congelato. Concluse il racconto dicendo che ringraziava Dio perché questo gli aveva permesso il congedo altrimenti sarebbe anche lui morto  nelle steppe gelate della Russia. Vediamo come questa ed alcune  altre concause portarono alla disfatta del nostro esercito nella campagna di Russia della seconda guerra mondiale.

Gli scarponi di cui erano dotati i nostri militari, in special modo gli alpini erano il vanto, fin dal primo conflitto mondiale, del nostro esercito e dei nostri mastri calzaturieri. Queste calzature furono perfino copiati ed impiegati dalle truppe inglesi vista la loro flessibilità, robustezza e confort. Essi però erano stati progettati per terreni asciutti e per climi moderati. Anche se qualche esperto dell’epoca dissentì, non parve vero di mostrare nella campagna di Russia della seconda guerra mondiale quanto fossero bravi gli italiani. Però i famosi scarponi chiodati si rivelarono, insieme alla totalità degli armamenti adoperati, del tutto non competitivi con quelli in dotazione dell’esercito russo; un vero disastro.

scarponi militari chiodati italiani.

Gli scarponi furono causa di molti congelamenti perché l’umidità penetrava attraverso i fori dei chiodi formando sotto la pianta dei piedi del soldato uno strato di ghiaccio con tutte le conseguenze che si possono immaginare con temperature fino a -48°C. Al disastro giocò anche il profitto perché gli scarponi dei nostri militari, vista la quantità e il conseguente guadagno, non furono realizzati con la diligenza e la qualità dei materiali necessari.

Anche il vestiario della truppa era fatto, seguendo la politica autarchica fascista, di lanital. Esso, anche se molto simile alla lana, è leggero, facilmente deteriorabile, non mantiene il caldo; per tali ragioni era del tutto inopportuno utilizzarlo nelle proibitive temperature dell’inverno russo.

Militare in lanital e scarponcini nell’Armir.

Anche il lanital era una gloria italiana. Fu scoperto dal chimico Antonio Ferretti acidificando del siero di latte. Si formava un polimero facilmente plasmabile per ottenere svariati oggetti (esso è stato in qualche maniera l’anticipatore delle materie plastiche)  e, se filato, un tessuto. Fu commercializzato fin dal 1937 prodotto dalla Snia Viscosa e fortemente propagandato dal regime fascista.

Vista la pessima riuscita dei famosi scarponi chiodati, il governo si decise, dopo molto tempo e molti congelamenti, di chiedere l’utilizzo di un certo numero di stivali invernali tedeschi principalmente per le truppe di prima linea. Essi erano abbastanza efficaci, molto belli da vedere, ma con la suola di legno perciò molto scomodi. Le uniche calzature veramente efficaci, per quel clima, non potevano essere che i valenki in dotazione ai militari sovietici.

I valenki sono le calzature tradizionali invernali dei russi e perciò in dotazione anche alle forze armate. Sono fatti di feltro di lana di pecora. Sono praticamente delle robuste calze di feltro, senza cuciture, ottenute per stampaggio e successiva infeltrizzazione della lana con metodo industriale. Le calzature risultano molto calde, mantengono perfettamente i piedi isolati dalla neve e dal freddo; è stato anche riscontrato un benefico massaggio sulla pianta dei piedi favorendo la circolazione importantissima alle basse temperature. Il problema dell’assorbimento dell’acqua in caso di pioggia viene risolto dotando i valenki di calosce in gomma da indossare sopra di essi.

Valenki russi.

 

Come ho potuto leggere in un intervista ad un reduce: il sottotenente Guido Vettorazzo dell’8° reggimento della divisione Julia, I valenki furono fatti circolare tra gli ufficiali, perciò in numero limitato, perché presumibilmente nelle retrovie l’intendenza fece lavorare, costringendola, qualche fabbrica. Insieme ai valenki i fortunati potevano optare per gli stivaloni tedeschi. <<Molti ufficiali scelsero questi ultimi >>, dice Vettorazzo, << perché erano belli e tirando su il risvolto del ginocchio sembravano stivali da moschettiere>>.  Vanità, vanità! << Io scelsi i valenki >>, dice ancora Vettorazzo << perché se li portavano i russi che li ci erano nati … >> e aggiunge: << Nelle retrovie vi erano immagazzinati molte cose: pastrani e guantoni foderati all’interno con pelo di agnello, pellicciotti ungheresi … ma molti capi in prima linea non arrivarono mai perché ci fu chi preferì al bene della truppa forse un po’ di commercio personale . Vi fu all’epoca anche un’indagine svolta dell’avvocato Zavagli, che era mio amico e che era capo degli autocarri del trasporto Julia, prima dell’inverno 1942 – 43, perché vi era stato un sentore di strani traffici; vi furono anche delle denunce . Ciò induce a credere che gli indumenti invernali c’erano, ma sia per i traffici loschi sia per le obiettive difficoltà di movimentazione dei trasporti la distribuzione fu, a dir poco lacunosa >>.

Vi è ancora una storia riportata in letteratura sia dai reduci che dagli storici. Alcuni ufficiali che avevano a cuore la sorte dei soldati, mandarono in Italia alcuni valenki sperando che i nostri mastri calzaturieri potessero riprodurli per poi dotarne le truppe. Questo non accadde sia perché obiettivamente in Italia non vi era la tecnologia adatta sia perché i “meravigliosi” scarponi italiani andavano benissimo facendo risparmiare un sacco di soldi alle casse dello stato; risparmio, che c’è da giurarci, finì in buona parte nelle tasche di deputati e senatori corrotti e voraci. Vi fu un tentativo di comprarli dai polacchi che ne erano disponibili, ma la trattativa fallì allorché il nostro governo pretese di pagare il governo polacco con la margarina.